sabato 14 aprile 2012

Il regno dei beduini nel Sinai


 

 Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)


Un territorio grande tre volte Israele, dall’accesso difficile, circondato com’è da deserto e montagne, nel quale vivono trecentomila beduini, più di un quarto nomadi, con l’Egitto che fatica ad imporvi una qualsivoglia autorità. Anche se la Penisola del Sinai fa parte del Paese dei Faraoni dal tempo dei tempi, le tribù beduine che ci vivono da diverse centinaia di anni hanno sempre goduto di una larga autonomia. Hanno un proprio sistema giuridico, che riflette usanze ancestrali. E’ solo dalla metà del secolo 19° che il governo centrale ha incominciato ad interessarsi a questa sua regione, cercando di imporre il sistema giuridico centrale, soprattutto per motivi legati alla sicurezza: garantire il libero transito di beni e merci, permettere ai fedeli musulmani di recarsi in pellegrinaggio alla Mecca e ai fedeli cristiani, diretti al Monastero di Santa Caterina, di attraversare la Penisola senza essere aggrediti e rapinati dai beduini. Il Cairo non ha mai cercato di intromettersi in beghe locali, essendo i vari conflitti tribali lasciati ai tribunali della Penisola.
In seguito alla Guerra dei Sei Giorni, il Sinai era passato sotto il controllo israeliano, uno status che durò sino al giugno 1982, quando venne evacuato nel quadro degli accordi di pace. Israele vi aveva costruito strade e infrastrutture turistiche, frequentate da molti turisti israeliani, per cui la regione aveva goduto di un boom economico sorprendente quanto inatteso. Le relazioni fra beduini e israeliani, in quel tempo, erano eccellenti. Dopo l’evacuazione, gli egiziani hanno sviluppato il turismo, costruendo hotel di lusso sulla costa orientale come a El Arish, dove sono sorti villaggi-vacanza per gli egiziani benestanti. Agli ‘stranieri’ non venne concessa dal governo la possibilità di acquistare terreni nella zona, una norma diretta agli israeliani, sempre considerati, comunque, con diffidenza se non con ostilità. La zona di frontiera, smilitarizzata in base al trattato di pace, era sotto attenta sorveglianza.


I beduini sono stati la parte esclusa da questo sviluppo. Era dal Cairo che venivano le migliaia di impiegati necessari al funzionamento di alberghi e villaggi, ai beduini erano riservate le mansioni più umili, mentre continuavano a pascolare i loro greggi. Ci furono rivolte, manifestazioni affinchè i loro villaggi fossero collegati alle centrali idriche e elettriche, mentre gli scontri con le forze dell’ordine si facevano sempre più violenti. I giovani passavano su posizioni radicali, ed entravano a far parte di movimenti islamisti estremisti. Ne fondarono uno jihadista loro stessi, chiamandolo “Tawid et Jihad”.
Nel 2004 e 2005 degli attentati sconvolgono i centri turistici di Sharm el Sheik e Taba, costringendo il governo a reagire con estrema brutalità. Migliaia di beduini, in gran parte innocenti, vengono imprigionati. La maggior parte verrà poi scarcerata, alcuni condannati a pene pesanti, altri rimarranno in prigione al fine di esercitare pressioni sulle loro famiglie. Ma questa volta è tutta società beduina a rivoltarsi, le manifestazioni si moltiplicano, reclamano la liberazione immediata dei detenuti, una giustizia sociale più giusta, case a basso prezzo e borse di studio per i giovani.

Altro punto sensibile, i beduini chiedono che le terre che occupano da secoli, siano registrate a loro nome. Nel 2007, il Governatore del Sinai del nord promette che agirà, ma non se ne farà mai nulla. Intanto i movimenti islamisti non si mostrano inattivi, sono pronti ingenti finanziamenti e i beduini colgono l’occasione. Il contrabbando, che siano armi e merci verso Gaza o droga con destinazione Israele, diventa una industria nazionale. Alla quale se ne aggiunge una nuova, molto redditizia: sono le migliaia di africani che fuggono fame e persecuzioni che cercano di entrare in Israele. I beduini li sfruttano in un modo vergognoso: La CNN e l'inglese Guardian hanno pubblicato testimonianze impressionanti sulle sevizie subite da quei disgraziati africani, che vanno dalla tortura al rapimento, fino al prelevamento degli organi.

E’ senza dubbio grazie alla collaborazione fra terroristi e beduini che un fiume inarrestabile di armi e missili sempre più sofisticati in arrivo dal Sudan – e ora dalla Libia – passa attraverso il Sinai per finire nella Striscia di Gaza. I beduini si mostrano sempre più audaci. Sin dai primi giorni della rivoluzione nel gennaio 2011, con un raid sulla prigione di Marg, a nord del Cairo, liberano Iman Nofel, un leader di Hamas, e Sami Shehab, capo della cellula Hezbollah in Egitto, tutti e due condannati a pesanti pene per le loro attività terroriste. Per realizzare un’operazione così complessa dovevano essere  dotati di mezzi  e armi moderne, aiutati senza dubbio da Hamas, Hezbollah e dalle guardie iraniane della rivoluzione.

La caduta di Mubarak non ha fatto che peggiorare la situazione. Il governo provvisorio, che fatica a mantenere l’ordine nel paese, nei primi tempi sembrava non essere in grado di controllare il Sinai, colpiva l’assenza di agenti segreti e personale responsabile della sicurezza. Nello scorso luglio, beduini bene addestrati e armati di tutto punto si sono lanciati all’assalto in pieno giorno del posto di polizia di El Arish, mentre un gruppo proclamava la fondazione di un emirato islamico del Sinai del nord. Gli sbarramenti della polizia venivano assaliti, turisti stranieri rapiti per essere scambiati con reclusi beduini. Per due volte la stazione della MFO – forza multinazionale incaricata di monitorare il rispetto del trattato di pace – è stata messa sotto assedio. La conduttura che trasporta il gas naturale egiziano verso Giordania e Israele sabotata, sino ad oggi, per ben tredici volte. Il Sinai si è trasformato in una roccaforte del terrorismo. Vengono lanciati missili in direzione di Eilat, anche se per fortuna non colpiscono alcun obiettivo. Ma sempre nel luglio scorso, lungo la strada che costeggia la frontiera con il Sinai, un attacco terrorista ha causato la morte di otto israeliani.

Come sempre, la stampa egiziana ha imputato a Israele la responsabilità della situazione, poichè il trattato di pace, sostengono, limita il numero di soldati presenti al confine, il che non permette agli egiziani di mantenere l’ordine. Si guardano bene dal ricordare, però, che Israele ha concesso una deroga temporanea che autorizza l’invio di rinforzi, ma che l’Egitto ne ha inviati la metà del dovuto.
La realtà è che il governo non ha più in mano il controllo della situazione. Se lo volesse, dovrebbe affrontare il problema Sinai da subito, parlare con i capi delle tribù beduine e con i giovani, per cominciare ad affrontare i problemi più urgenti che sono alla base delle violenze. Israele, da parte sua, guarda impotente la Penisola trasformarsi in una zona di non-diritto, dove Hamas e Jihad preparano ed eseguono i loro attentati lungo la frontiera comune. La situazione rischia di aggravarsi ancora di più appena i Fratelli Musulmani formeranno il prossimo governo. Hanno infatti già dichiarato la loro volontà di aprire la frontiera tra Gaza ed Egitto. Per il momento il parlamento non è in grado di realizzare questo obiettivo. Che cosa succederà quando verrà eletto il nuovo presidente, un nuovo governo e l’esercito sarà rientrato nelle caserme ?
Bravo chi riesce a indovinarlo.

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta

http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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